Tina e Gino sono sposati da molti anni. Tutti i sabato pomeriggio Gino si rifugia in quello che chiama “lo studio” e si dedica a dipingere quadri su tela, nella speranza, prima o poi, di diventare famoso. Tutti i sabato pomeriggio, alle quattro in punto, Tina arriva all’improvviso nello “studio” con un vassoio con tè e biscotti annunciando tutta contenta la merenda. Immancabilmente, Gino a quest’apparizione si innervosisce, trasale e sbaglia a dare una pennellata, compromettendo così il capolavoro della sua vita. Gino si arrabbia e inveisce contro la moglie che è colpa sua se ha sbagliato, rovinando irrimediabilmente ore e ore di lavoro e Tina se ne va mortificata per il pasticcio combinato.
Il sabato dopo si ripete la stessa scena, e così il sabato dopo ancora, per anni e anni.
Perché, verrebbe da chiedersi, Tina non impara a non importunare il marito e Gino non impara ad aspettarsi l’arrivo della moglie?
Perché i due coniugi stanno giocando!
Il termine gioco psicologico è stato introdotto da Eric Berne, il fondatore dell’analisi transazionale, per indicare un particolare tipo di interazione tra due o più persone che termina con emozioni negative per tutte le persone coinvolte e che le persone, nonostante le conseguenze negative, continuano a mettere in atto. Ogni persona ha dei giochi preferiti che tende a mettere in atto con persone diverse ma il tornaconto che ottiene, cioè l’emozione finale, è sempre lo stesso. La persona si sente confusa, sorpresa e accusa l’altro; inoltre, spesso ci si chiede come mai si finisce sempre nelle stesse situazioni e si provano sempre le stesse emozioni anche con persone diverse.
Provare sorpresa e confusione è una caratteristica fondamentale dei giochi, perché, di solito, non siamo consapevoli di giocarli ma è un processo automatico.
Ma perché si gioca, se le conseguenze sono sempre negative?
Perché ogni gioco comporta anche dei vantaggi inconsapevoli; ad esempio, evitare una situazione temuta (Gino dando la colpa alla moglie dei propri errori non dovrà mai affrontare il fatto che forse non ha successo perché ha poco talento), oppure confermare convinzioni che abbiamo di noi stessi (Tina, lasciandosi sgridare dal marito, conferma la sua convinzione di essere un’inetta e che quindi non ha nessuna responsabilità se la sua vita non la soddisfa ma non aspira a qualcosa di meglio).
Berne dice che i giochi sono un modo per evitare l’intimità, cioè quella forma di interazione in cui vi è uno scambio di emozioni e desideri reali e in cui ognuno si prende la responsabilità di quanto accade nella relazione. Poiché entrare in intimità può richiedere di entrare in contatto con emozioni di cui si ha paura o di prendersi delle responsabilità, spesso, a un livello inconscio, si preferisce giocare e provare disagio.
Tutti noi giochiamo e sperimentiamo questo senso di disagio in svariati contesti della nostra vita; basterebbe pensarci qualche minuto perché a ciascuno vengano svariati esempi. Ovviamente, sarebbe auspicabile smettere di giocare e imparare a entrare in relazione con gli altri in modo più genuino. È sicuramente un obiettivo non facile ma possibile.
Il primo passo per smettere di giocare è essere consapevoli che si sta giocando! Proprio perché è un processo automatico, prima di tutto dobbiamo accorgerci di quello che stiamo facendo per poterlo modificare.
In secondo luogo, bisogna trovare alternative. Nei giochi c’è sempre un giocatore che comincia (il gancio) e un altro che si aggancia (l’anello); nel primo caso, si può imparare a riconoscere quando si sta per iniziare un gioco e decidere di fare altro, nel secondo si può riconoscere il gancio e decidere di non agganciarsi, reagendo in modo diverso dal solito. In entrambi i casi, se ci si rende conto di quello che sta succedendo dopo che il gioco è già iniziato si può decidere di interromperlo. Ad esempio, Tina, invece di sentirsi mortificata potrebbe ribattere al marito che non è colpa sua se lui si è spaventato, oppure Gino potrebbe chiedere scusa alla moglie per aver reagito con rabbia eccessiva.
Non è facile liberarsi dei giochi ma, se ci si riesce, si avrà la possibilità di avere relazioni soddisfacenti con chi ci sta intorno, soprattutto con le persone importanti della nostra vita.
Inoltre, come ricorda Berne, non è necessario liberarsi del tutto dei giochi. Si può giocare in modo consapevole e innocuo per divertimento!
Bibliografia
E. Berne, A che gioco giochiamo, Tascabili Bompiani. 1964
Angela Zito, Chiara Ostini
Gennaio 2015