Il concetto di cambiamento è difficilmente definibile perché può contenere in sé diverse sfumature. Per il dizionario Treccani, per esempio, il cambiamento è “l’atto e l’effetto del diventare diverso”, per il dizionario google invece è quella “sostituzione o avvicendamento che riguarda in tutto o in parte la sostanza o l’aspetto di qualcosa o di qualcuno”. La prima definizione è intesa in senso di modifica, mentre la seconda assume una valenza quasi evolutiva. Della stessa opinione, la psicologa e psicanalista spagnola Marga Pascual, dichiara che “un cambiamento di successo non è una distruzione, ma un’evoluzione che salva il salvabile e migliora il migliorabile”: aggiunge quindi un senso valutativo al cambiamento superando la dicotomia di fenomeno positivo o negativo.
Neanche dal punto di vista emotivo il cambiamento può essere inteso in senso univoco, poiché suscita le emozioni più diverse, arrivando quasi agli opposti: dal rifiuto al sollievo, dalla curiosità all’ansia, passando per il desiderio e la gioia.
Esistono molti modelli che teorizzano le varie fasi del cambiamento: ne prenderò in esame solo due, che si riferiscono a contesti molto diversi.
Il primo, il modello di Kurt Lewin (psicologo tedesco, uno dei primi psicologi sociali) teorizza i tre stadi della percezione del cambiamento. Questo modello quindi si riferisce a come viene vissuto e interpretato il cambiamento in senso soggettivo, sia che si tratti di un cambiamento che avviene all’interno del singolo, che un cambiamento contestuale, cioè di condizioni esterne:
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Il primo stadio, lo “scongelamento” (“unfreezing”), presuppone il superamento dell’inerzia e lo smantellamento della mentalità e delle abitudini esistenti. In questo stadio deve essere superata la naturale resistenza innescata dai meccanismi di difesa.
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Il secondo stadio, quello in cui si attua e manifesta il cambiamento, è contraddistinto da uno stato di confusione e di provvisorietà legata alla transizione. Si è consapevoli che il quadro precedente è stato messo in discussione ma non si ha ancora una chiara percezione di come sostituirlo.
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Il terzo stadio, il “ricongelamento” (“refreezing”), porta al consolidamento del nuovo quadro e delle nuove abitudini e alla loro cristallizzazione, riportando gli individui a un livello di sicurezza analogo a quello precedente il cambiamento.
Il secondo modello è quello di Elisabeth Kübler-Ross (psichiatra svizzera, ha teorizzato la psicotanatologia) che individua le cinque fasi di reazione dell’individuo a fronte di un cambiamento imposto dall’esterno:
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negazione/rifiuto (non è possibile!)
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rabbia (perché proprio a me?)
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patteggiamento (salviamo il salvabile)
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depressione (non sarà più come prima)
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accettazione (mettiamoci l’animo in pace).
Occorre infine ricordare che il cambiamento va considerato sempre in relazione al contesto, al momento in cui avviene rispetto al ciclo della vita e alla personalità del soggetto.
Esistono infatti contesti e culture più o meno adatti a gestire il cambiamento, basti pensare a cosa significa vivere in una città di confine o in un paese di montagna, oppure al significato che ha il trasloco per chi un lavoro fisso e per chi invece è uno stagionale.
Allo stesso modo, il cambiamento assume significati diversi a seconda del momento in cui avviene: in momenti diversi della vita, il cambiamento assume significati diversi, per motivi legati alle differenze di esperienza, di aspettative, di motivazioni.
Infine, assume un’importanza non trascurabile il tipo di personalità: l’apertura all’esperienza (uno dei cinque tratti di personalità elencati da una delle principali teorie che spiegano le differenze tra le personalità), cioè la “disposizione a ricercare stimoli culturali e di pensiero esterni al proprio contesto ordinario”, varia da un individuo all’altro, può variare durante la vita e fa attribuire un significato diverso allo stesso cambiamento.
In definitiva, con le parole attribuite a Buddha, “Il cambiamento non è mai doloroso; solo la resistenza al cambiamento lo è.”
Chiara Iacono
gennaio 2015